mercoledì 2 agosto 2017

Le meravigliose cascate di Havasupai

Siamo sempre in Arizona, siamo sempre nei dintorni del Grand Canyon, siamo sempre su quell’enorme plateau intorno ai 2.000 m di quota, lavorato e scavato dal fiume Colorado e dai suoi affluenti. Ogni escursione fatta qui comincia scendendo,  per ritornare alla partenza si risale, esattamente all’opposto di quello che avviene quando si fanno le escursioni in montagna. Questo non è trascurabile: affrontare una salita durante il ritorno, quando si è già stanchi, pesa molto di più. 
Una settantina di chilometri in linea d’aria ad ovest del South Rim e del North Rim, c’è un villaggio indiano navajo di circa 400 persone isolato e difficilissimo da raggiungere, tanto che la posta viene ancora portata a dorso di un mulo o di cavallo con diverse ore di cammino e solo per le urgenze viene utilizzato l’elicottero.
L’importanza di questo villaggio è la presenza di alcune meravigliose cascate dal color smeraldo e da tante piscine naturali dove poter fare il bagno in mezzo ad un vero e proprio paradiso terrestre.
Per limitare l’invasione dei turisti è stato posto il limite di 300 presenze al giorno con prenotazioni che si aprono a febbraio e che si esauriscono velocemente, malgrado il costo del permesso sia elevato (66$ a persona) e che sia obbligatorio almeno un pernottamento altrettanto dispendioso: noi abbiamo pagato 93$ a testa compreso del permesso e di un posto dove piantare la tenda.
Da febbraio di quest’anno è obbligatorio il pernottamento e la prenotazione e sono state vietate le escursioni in giornata, con la giustificazione  che percorrere a piedi i 16 km di andata (12 km fino al villaggio più altri 4 fino alla cascata superiore e al campeggio) più 16 km di ritorno, nella stessa giornata e sotto il sole a picco, sia troppo per chiunque.
Noi non sapevamo di tutti questi cambiamenti e ci siamo avventurati per farlo forse in giornata, come aveva fatto il nostro amico Luca anni fa, pensando che il biglietto d’ingesso si potesse prendere tranquillamente all’ingresso del paese di Supai, una volta arrivati. Ci siamo portati comunque la tenda, nel caso avessimo cambiato idea.
Già arrivare in auto al parcheggio di Havasupai Hill, dove comincia l’escursione a piedi, è un’impresa: bisogna guidare due ore da Flagsaff verso ovest e poi fare una deviazione di 100 km che sembra condurre solo in quel parcheggio. Per poter cominciare l’escursione al mattino presto ci siamo arrivati di sera, partendo dopo cena da Flagstaff, avremmo dormito in auto una volta arrivati al parcheggio come fanno tanti. Non avevamo considerato il fatto che gli ultimi 100 km di quella strada fossero sostanzialmente in mezzo al bosco con il rischio di stendere qualche cervo oppure una volpe o qualche gallo cedrone. Dopo aver visto il primo cervo dalla stazza pari a quella di un toro e con un palco di corna simili ai rami di una sequoia, abbiamo deciso di proseguire molto piano…arrivando al parcheggio alle due di notte e senza mai incontrare nessun’altra auto per tutti i 100 km! Per due ore abbiamo visto solo alberi, animali e cielo. Il parcheggio era pieno, abbiamo fortunatamente trovato un posto.
Dopo aver dormito un po' in auto partiamo alle 6.30 del mattino con tanto di tenda e 6 litri di acqua, non sapendo che sia al paese di Supai, che nel campeggio, fosse disponibile dell’acqua potabile gratuita.
L’inizio del sentiero è una discesa ripida, si parte dai 1500 metri di altitudine per arrivare ai 700 metri di Supai. Altri turisti partono con noi e molti altri li incrociamo mentre stanno tornando dal villaggio: chi è partito a mezzanotte dal campeggio camminando tutta la notte con la pila, chi alle quattro di mattina dai lodge di Supai, chi un’ora prima, chi dopo, ma tutti indistintamente distrutti.
Dopo la ripida discesa dei primi due km si comincia a camminar dentro un canyon di indubbia bellezza, accompagnati dai primi raggi del sole. Per strada ancora turisti che tornano e carovane di cavalli che fanno la spola con le provviste dal parcheggio al paese. Ad un certo punto incrociamo un indiano della riserva che ci chiede se abbiamo il permesso: noi cadiamo dalle nuvole, chiedendoci anche chi fosse questo tipo che non manifestava nessuna ufficialità. Ci spiega che il trekking non si può fare in giornata e non si può arrivare al villaggio senza prenotazione, che deve essere fatta necessariamente via mail o telefono. L’indiano era categorico e voleva che assolutamente tornassimo indietro. Ad un certo punto estrae una ricetrasmittente e comunica con qualcuno parlando di noi e del fatto che ormai siamo a metà percorso. Miracolosamente ci dice che c’è un posto tenda per la modica spesa di 93,5 dollari a testa. Sembra che si siano liberati dei posti perché qualcuno ha disdetto la prenotazione. Siamo salvi!
Arriviamo al villaggio in 5 ore, percorrendo 12 km su e giù per i sassi. Distrutti ma contenti. Al punto di controllo del villaggio paghiamo il dovuto e ci mettono una fascetta colorata al polso, tipo quella dei turisti nei resort.
Il villaggio, piccolo e polveroso, è un’oasi in mezzo al deserto, con dei cavalli nei recinti e un rumore assordante di elicotteri che fanno la spola tra il parcheggio dove eravamo e il villaggio, portando turisti, e materiali vari quasi sempre appesi ad un enorme cesto con un lungo filo.
Nel villaggio si trovano i lodge (casette in legno) ben più costosi, mentre il campeggio è 4 km più in alto, nei pressi dell’ultima cascata.
Le cascate sono veramente una meraviglia, il color azzurro dell’acqua risalta tra il verde dell’oasi e il rosso dell’arenaria. Le prime cascate sono più basse e fatte di larghe pozze, mentre le ultime due sono alte come le nostre cascate delle Marmore. Alla base formano veri e propri laghetti dove è possibile fare il bagno. Bello, proprio bello.
Facciamo il bagno anche noi e prima del buio piantiamo la tenda in riva il torrente. Questo campeggio, come quasi tutti i campeggi americani, ha un tavolo per ogni piazzola e i servizi igienici in comune, ma non c’è modo per lavarsi. Ognuno si arrangia come può. Le immondizie devono esser sempre portate a casa, non si devono, giustamente, lasciare qui.
Alle 8, appena fa buio, siamo a letto. Ci alziamo alle due di notte e smontiamo la tenda con l’aiuto della pila. Iniziamo a scendere alle 2.30. Per capire quale  fosse il sentiero giusto abbiamo sempre guardato l’impronta degli zoccoli dei cavalli sulla sabbia, esattamente come nei film.
Ogni tanto alzavamo gli occhi al cielo, sempre pieno di stelle, come ormai siamo abituati a vedere qui. Vediamo Cassiopea e poco davanti distinguiamo ad occhio nudo la Galassia di Andromeda, l’unico oggetto celeste all’infuori della nostra galassia osservabile ad occhio nudo. Ma per poterla osservare ci vogliono appunto cieli limpidi come questo. Con il buio talvolta perdiamo il sentiero, ma poi lo ritroviamo subito. Arriviamo al parcheggio dell’auto dopo le 9 di mattina, impiegando quasi sette ore per percorrere i 16 km dal campeggio all’auto, pause comprese. La salita degli ultimi due km è decisamente micidiale, non finisce mai.
In alto incrociamo vari turisti che stanno partendo per il villaggio, tra cui due ragazze italiane che hanno viaggiato tutta la notte da Page per tentare di avere il permesso direttamente qui, visto che al telefono non rispondeva nessuno. Lo stesso tipo indiano che ci aveva trovato un posto tenda la mattina prima, con loro è stato irremovibile, malgrado la nostra intercessione: senza prenotazione non si entra. Le ragazze purtroppo sono tornate indietro.
C’è andata male con la “The Wave”, ma qui siamo stati decisamente fortunati, grazie al nostro burbero “amico” indiano a cavallo.

La cascata di Havasu

La cascata Lower Navajo

La parte superiore della Lower Navaio

La cascata Mooney

Inizia il sentiero in mezzo al canyon

L'indiano al posto di controllo

La deviazione per il villlagio

Il rifornimento al villaggio con i cavalli

Il rifornimento avviene talvolata con l'elicottero

La tenda per la notte, vicino al torrente

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